Non c’è diritto senza etica: il whistleblowing, un artificio semantico per un gesto di civiltà 

Il termine whistleblower si riferisce a una persona che, operando all’interno di un’organizzazione, pubblica o privata che sia, si trovi ad essere testimone di un comportamento irregolare, illegale, potenzialmente dannoso per la collettività, e decide di segnalarlo all’interno dell’azienda stessa, all’autorità giudiziaria o ai media, nell’intento di interrompere l’illecito. 

L’Accademia della Crusca ascrive l’etimologia del composto inglese – letteralmente “chi soffia (blower) nel fischietto (whistle)” – all’espressione metaforica to blow the whistle che veniva usata col significato di “interrompere qualcosa bruscamente”, proprio come farebbe un arbitro con un colpo di fischietto. Fino a tutti gli anni ’60 to blow the whistle e il derivato whistleblower sono espressioni basse, gergali i cui equivalenti in italiano sono rintracciabili in parole come talpaspione e nelle locuzioni verbali fare la spiafare una soffiatacantare, vuotare il sacco.

E a Ralph Nader, attivista e politico americano impegnato, fra le altre cose, nella difesa dei diritti dei consumatori, che si deve la rideterminazione semantica di whistleblower che diventa negli anni ’70 un termine vero e proprio il quale individua un referente preciso, non più generico, con un tratto connotativo positivo di impegno civile ed etico.

La crescente attenzione degli ordinamenti giuridici alla tutela del whistleblower 

Nei paesi di cultura anglosassone ciò che ha reso il whistleblower un soggetto degno di attenzione è il ruolo che tale figura ha nel portare allo scoperto, combattere e disincentivare fenomeni di corruzione su grande e piccola scala ma al contempo, e soprattutto, il fatto che la scelta di denunciare irregolarità e comportamenti illegali riscontrati sul luogo di lavoro comporti spesso e a tutte le latitudini ritorsioni e conseguenze negative per chi denuncia.

E dunque, in tempi diversi e in diversi paesi, si è avvertita la necessità di legiferare a tutela di queste persone. Un primo caso di applicazione di una normativa a difesa dei whistleblowers risale addirittura al 1863. Con la Legge Lincoln si istituiva difatti negli Stati Uniti una ricompensa per chi denunciasse frodi ai danni del governo federale. Ma è nel Regno Unito che, in anni decisamente più recenti, è stata elaborata e adottata la legge più estesa e completa in materia: il Public Interest Disclosure Act del 1998.

In Italia l’attenzione verso questo tema è fatto di questo millennio e si deve sostanzialmente al contributo di associazioni quali la sezione italiana della ONG Trasparency InternationalLibera e Gruppo Abele. Una prima parziale presa in carico del problema sul piano giuridico la si ritrova invece nell’art. 51 bis della Legge “anticorruzione” 190/2012, intitolato “Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti”.

La nuova legge italiana sul whistleblowing in attuazione della Direttiva (UE) 2019/1937

Con il decreto legislativo 10 marzo 2023, n. 24 il nostro Paese recepisce la Direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’Unione europea di cui siano venuti a conoscenza in un contesto lavorativo pubblico o privato, illeciti che vadano a ledere l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato. 

La nuova disciplina impone un ripensamento totale della compliance che in tema di whistleblowing gli enti pubblici e i soggetti privati hanno sinora messo a terra. Oltre alla predisposizione di canali di segnalazione sicuri e affidabili e di procedure lineari ed efficaci, la legge tratta il tema della formazione interna dei dipendenti ed esterna degli altri stakeholder, anche sull’utilizzo dello strumento informatico utilizzato per la segnalazione, ma impone soprattutto una scelta accurata e una formazione specifica per quei soggetti che saranno incaricati di ricevere e trattare le segnalazioni.

Nelle slide a seguire analizzeremo più nel dettaglio le regole e le azioni che PA e aziende private dovranno attuare per essere compliant alla nuova normativa.

I soggetti obbligati e ambito di applicazione

Con l’approvazione del Decreto si allarga il novero dei soggetti tenuti a dotarsi di canali di segnalazione interni: oltre agli enti operanti nel settore pubblico, la disciplina si applica anche agli enti privati che hanno impiegato, nell’ultimo anno, la media di almeno cinquanta lavoratori subordinati con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato nonché a quelli operanti in settori particolari espressamente individuati dall’Unione Europea (ex. protezione del risparmio) a prescindere dal numero di dipendenti. Rimane l’obbligo di allestire canali di segnalazione per gli enti che si sono dotati o si dotano di Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo ai sensi del D. Lgs. 231/01 a prescindere dal numero di dipendenti. 

L’articolo 1 del Decreto precisa che le disposizioni non si applicano:

  1. alle contestazioni, rivendicazioni o richieste legate a un interesse di carattere personale della persona segnalante o della persona che ha sporto una denuncia all'autorità giudiziaria o che siano inerenti ai rapporti di lavoro o di impiego pubblico con le figure gerarchicamente sovraordinate;
  2. alle segnalazioni di violazioni laddove già disciplinate in via obbligatoria dagli atti dell'UE o nazionali indicati nella parte II dell'allegato al decreto ovvero da quelli nazionali che costituiscono attuazione degli atti dell'UE indicati nella parte II dell'allegato alla direttiva (UE) 2019/1937;
  3. alle segnalazioni di violazioni in materia di sicurezza nazionale o di appalti relativi ad aspetti di difesa o sicurezza nazionale, salvo che tali aspetti siano riconducibili al diritto unionale.

 

Segnalazioni interne

L’art. 4 del Decreto definisce i Canali di segnalazione interna.

  1. I soggetti del settore pubblico e i soggetti del settore privato, sentite le rappresentanze o le organizzazioni sindacali di cui all'articolo 51 del decreto legislativo n. 81 del 2015, attivano propri canali di segnalazione che garantiscano, anche tramite il ricorso a strumenti di crittografia, la riservatezza dell'identità della persona segnalante, della persona  coinvolta  e  della  persona   comunque   menzionata   nella segnalazione,  nonché'  del  contenuto  della  segnalazione  e  della relativa documentazione. I modelli di organizzazione e di gestione, di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 231 del 2001, prevedono i canali di segnalazione interna di cui al presente decreto. 
  2. La gestione del canale di segnalazione interna può essere affidata ad un ufficio interno ovvero esterno, specificamente formato.

 

Segnalazioni esterne

L’art. 7 del Decreto introduce un canale di segnalazioni esterne indirizzate all’ ANAC. In particolare, in osservanza di quanto previsto dall’art. 6, tale canale può essere utilizzato quando:

  1. non è prevista, nell’ambito del contesto lavorativo del segnalante, l’attivazione obbligatoria del canale di segnalazione interna ovvero non è attivo o, anche se attivato, non è conforme ai parametri individuati all’articolo 4 del Decreto;
  2. la persona segnalante ha già effettuato una segnalazione interna e la stessa non ha avuto seguito o si è conclusa con un provvedimento finale negativo;
  3. la persona segnalante ha fondati motivi di ritenere che, se effettuasse una segnalazione interna, alla stessa non sarebbe dato efficace seguito ovvero che la stessa segnalazione possa determinare il rischio di ritorsione;
  4. la persona segnalante ha fondato motivo di ritenere che la violazione possa costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse.

 

Nuove garanzie per il segnalante 

La tutela del whistleblower è garantita:

  1. dall’art. 13 del Decreto, il quale prevede un obbligo di riservatezza rispetto all’identità del segnalante e a qualsiasi altra informazione da cui essa può, direttamente o indirettamente, evincersi. Nello specifico, sancisce che, senza il consenso espresso della stessa persona segnalante, tale identità «non possa essere rivelata a persone diverse da quelle competenti a ricevere o a dare seguito alle segnalazioni, espressamente autorizzate a trattare tali dati ai sensi degli articoli 29 e 32, paragrafo 4, del regolamento (UE) 2016/679 e dell’articolo 2-quaterdecies del codice in materia di protezione dei dati personali di cui al Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196»;
  2. dall’art. 17 del Decreto, il quale prevede il divieto di ritorsione nei confronti del whistleblower elencando una serie di fattispecie esemplificative tra le quali il licenziamento.

 

Le sanzioni previste dalla norma

L’art. 21 prevede che ANAC ha la facoltà di applicare le seguenti sanzioni amministrative pecuniarie ai soggetti che abbiano violato le norme poste a tutela del whistleblower:

  1. da 5.000 a 30.000 euro allorquando venga accertato che siano state commesse ritorsioni o che la segnalazione sia stata ostacolata ovvero che si sia tentato di ostacolarla o che sia stato violato l’obbligo di riservatezza espressamente previsto all’articolo 12 del Decreto;
  2. da 10.000 a 50.000 euro allorquando venga accertato che non siano stati istituiti canali di segnalazione o che non siano state adottate procedure per l’effettuazione e la gestione delle segnalazioni ovvero che l’adozione di tali procedure non sia conforme ai parametri individuati per i canali di segnalazione interna agli articoli 4 e 5, nonché qualora non sia stata svolta l’attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute.

 

Privacy e divulgazione dei dati

In materia di privacy il Decreto prevede:

  1. il rilascio di una informativa ai soggetti coinvolti e l’obbligo di richiesta del consenso espresso del segnalante affinché ne venga dichiarata l’identità a soggetti diversi rispetto a quelli autorizzati a ricevere le segnalazioni, come indicato dall’art. 12 co. 2;
  2. che i dati personali che manifestamente non sono utili al trattamento di una specifica segnalazione non debbano essere raccolti o, se raccolti accidentalmente, vengano cancellati immediatamente, come indicato dall’art. 13 co. 2;
  3. lo svolgimento di una valutazione di impatto sul trattamento dei dati oggetto di segnalazione (DPIA), l’adozione di misure di sicurezza idonee a garantire la riservatezza delle persone coinvolte e del contenuto della segnalazione, l’individuazione specifica del personale preposto a gestire le segnalazioni con predisposizione di idonea nomina, l’adozione di una specifica procedura di segnalazione e integrazione del registro dei trattamenti previsto dall’art. 30 GDPR; 
  4. che le segnalazioni, interne ed esterne, e la relativa documentazione siano conservate per il tempo necessario al trattamento della segnalazione e comunque non oltre cinque anni a decorrere dalla data della comunicazione dell'esito finale della procedura di segnalazione, come indicato dall’art. 14 co. 1.

 

Protezione del segnalante ed entrata in vigore del decreto

L’art. 15 prevede che la persona segnalante che effettua una divulgazione pubblica benefici della protezione prevista nel Decreto se, al momento della  divulgazione  pubblica, ricorre una delle seguenti condizioni:

  1. il segnalante ha previamente effettuato una segnalazione interna ed esterna, ovvero direttamente una segnalazione esterna senza che non ne sia stato dato riscontro nei termini previsti;
  2. il segnalante ha fondato motivo di ritenere che la violazione possa costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse;
  3. il segnalante ha fondato motivo di ritenere che la segnalazione esterna possa comportare il rischio di ritorsioni o possa non avere efficace seguito in ragione delle specifiche circostanze del caso concreto.

Il Decreto qui esaminato avrà effetto a decorrere dal 15 luglio 2023 fermo restando che, per i soggetti del settore privato che nell’ultimo anno hanno impiegato una media di lavoratori subordinati con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato, non inferiore a cinquanta e non superiore a 249, le sue disposizioni avranno effetto a partire dal 17 dicembre 2023.

A cura di Daria Polidoro