Il 2025 avrebbe potuto segnare un punto di svolta per il mondo della Corporate Governance negli Stati Uniti (e non solo): per la prima volta una causa avviata da azionisti di minoranza per presunta negligenza del consiglio di amministrazione era arrivata difronte alla Corte del Delaware. Ma, alla fine, non sapremo mai la verità (neanche quella “processuale”). 

Era il CASO META. 

Tutto inizia quando tre piccoli azionisti di minoranza di Meta presentano una “derivative action” (ossia una causa intentata dai soci nell’interesse della società) davanti alla Corte di Cancelleria del Delaware, accusando il board e gli executives di violazione dei doveri fiduciari. Nello specifico, i dirigenti di Meta, come Mark Zuckerberg e Sheryl Sandbergal, erano accusati della violazione del Decreto del 2012 emesso dalla FTC (Federal Trade Commission), che imponeva all’azienda di ottenere il consenso esplicito degli utenti prima di condividere i loro dati personali con terze parti. Il presunto mancato rispetto di tale obbligo è stata causa del noto scandalo di “Cambridge Analytica”, in cui informazioni di milioni di utenti Facebook furono raccolte e utilizzate senza autorizzazione per finalità politiche. Ebbene, successivamente a tale scandalo, Meta ha concluso un dispendioso accordo, pari a 5 miliardi di dollari, con la FTC. 

Il leading case, ossia la regola di origine giurisprudenziale, da seguire in questi casi è la c.d. Caremark Claims Rule (re: Caremark International Inc. 1996), attraverso la quale è possibile denunciare il Consiglio di Amministrazione per mancata supervisione dei rischi legali o normativi della gestione, ma tale regola è difficilmente accettata dai giudici anche per una speciale legislazione dello Stato del Delaware e, di conseguenza, raramente casi di questo genere riescono ad arrivare a processo. Ma nel caso Meta, grazie alla giudice Kathaleen McCormick, questo traguardo era stato finalmente raggiunto. 

Il 16 luglio 2025 si era dunque aperto un processo storico che, con una durata di 8 giorni, avrebbe esaminato l’effettiva sussistenza delle accuse mosse dai querelanti, azionisti di minoranza della stessa società, verso il Consiglio di Amministrazione di Meta. Le accuse riguardavano, non solo, il disinteresse sistemico verso la tutela dei dati personali degli utenti e il mancato rispetto del Decreto del 2012 emanato dalla FTC, ma soprattutto l’abuso del potere azionario, la violazione di tutte le regole di buona governance e il danno economico della società subito a causa della sanzione che la stessa ha dovuto pagare successivamente allo Scandalo di Cambridge Analytica, il tutto finalizzato solamente alla protezione personale, principalmente, dell’amministratore delegato Mark Zuckerberg e dell’ex direttore operativo Sheryl Sandberg a spese degli altri Shareholder e Stakeholders. I querelanti sostenevano inoltre un’importante accusa di Insider Trading, secondo cui Zuckerberg avrebbe venduto illegalmente miliardi di dollari di azioni Meta grazie alle informazioni materiali non pubbliche (MNPI) da lui detenute sulle pratiche illecite e non divulgate di condivisione dati da parte dell’azienda. 

Ma … tutto si è fermato a causa di un accordo transattivo raggiunto tra Meta, Zuckerberg e gli altri dirigenti imputati, i quali giovedì 17 luglio 2025, dopo un solo giorno di processo, hanno deciso di risolvere le accuse per i danni causati all’azienda dalle ripetute violazioni della privacy degli utenti e dell’abuso di potere azionario per la personale tutela dei dirigenti e del board nello scandalo Cambridge Analytica. I dettagli dell’accordo non sono ancora noti ma, come dichiarato anche da Jason Kint, “questo accordo potrebbe portare sollievo alle parti coinvolte, ma rappresenta un’occasione mancata per la trasparenza pubblica”. 

Non sapremo mai dunque se davvero i consiglieri di amministrazione abbiano “coperto” Zuckerberg e se dunque la regola giuridica Caremark avrebbe retto di fronte a questo caso, ma rimane degno di nota che dei soci di minoranza abbiano avuto la possibilità, confermata successivamente anche da un giudice del Delaware, di presentare una denuncia e intentare una causa contro il Consiglio di Amministrazione di una società di enormi dimensioni come Meta, per attività che avevano il mero scopo di perseguire azioni – a loro dire - scorrette e di puro interesse personale dei principali executives, tra cui il CEO.