La Suprema Corte con Ordinanza n. 1374 del 18 gennaio 2022 è tornata a pronunciarsi in tema di ripartizione dell’onere probatorio nelle controversie sui prezzi di trasferimento ex art. 110, comma 7, del TUIR, confermando ancora una volta, in linea con la precedente giurisprudenza, che è onere dell’Agenzia delle Entrate provare che il prezzo praticato in una transazione infragruppo non sia conforme al prezzo di libera concorrenza (ex multis Corte di Cassazione, sentenza n. 27636 del 12/10/2021 e Corte di Cassazione, sentenza n. 1232 del 21/01/2021).

Nella fattispecie oggetto della controversia una società italiana appartenente a un gruppo multinazionale, mediante l’interposizione fittizia della sua diretta controllante con sede in Olanda, si approvvigionava di merce da imprese produttrici del gruppo localizzate in paesi a fiscalità privilegiata. In sede di accertamento l’Ufficio recuperava a tassazione la percentuale di ricarico applicata dalla controllante olandese nei confronti della società italiana, considerata non inerente poiché l’intervento di quest’ultima nella catena distributiva era giudicato antieconomico. Altresì recuperava a tassazione i ricavi della verificata in base al valore normale poiché, gli elevati corrispettivi pagati dalla società italiana erano ritenuti strumentali per allocare la maggior parte della materia imponibile alle imprese produttrici del gruppo con sede nei paesi a fiscalità privilegiata.

La società italiana, mediante ricorso per Cassazione, contestava il mancato rispetto, da parte dell’Ufficio, delle regole di ripartizione dell’onere della prova ex art. 2697 del Codice Civile in tema di prezzi di trasferimento, poiché l’Ufficio non aveva documentato con alcuna prova idonea e coerente il fatto che il corrispettivo praticato nelle transazioni controllate non rispettava i principi di libera concorrenza. Difatti il rilievo non traeva spunto dall’applicazione dei metodi di valutazione dei prezzi di trasferimento previsti dalle linee guida OCSE, o dalla Circolare dell’Amministrazione Finanziaria n. 32/9/2267 del 1980, ma si fondava esclusivamente sull’eccessiva, incoerente ed inspiegata variabilità dei prezzi di acquisto e del margine di ricarico applicato dalla società olandese, elementi considerati provanti la allocazione in paesi a bassa fiscalità dei redditi realizzati in Italia.

La Corte, esaminato il caso, statuisce che

  • la “normalità”, o meglio la “non normalità”, del prezzo di una transazione infragruppo deve essere provata dell’Amministrazione finanziaria, la quale deve dare evidenza che la stessa transazione, laddove condotta tra soggetti indipendenti, avrebbe generato un maggior reddito per la società contribuente residente; non è tuttavia compito dell’Ufficio provare la maggiore incidenza della fiscalità nazionale rispetto a quella transfrontaliera;
  • la non congruità del prezzo di una transazione deve essere sempre individuata con l’ausilio di una delle metodologie impiegate nell’ambito della disciplina dei prezzi di trasferimento, alla luce delle Linee guida OCSE;
  • qualora tuttavia sia posta in essere una transazione che non risulta essere comparabile con transazioni similari poste in essere dal contribuente e praticate in regime di concorrenza e in analoghe condizioni di mercato, sorge in capo al contribuente medesimo l’onere di provare che tale transazione sia stata eseguita al valore normale. In tal caso il contribuente dovrebbe dare anche contezza delle ragioni economico-commerciali per le quali tale transazione sarebbe stata conclusa, tra le quali può annoverarsi la posizione assunta dalla società all’interno del gruppo (Corte di Giustizia Ue 31 maggio 2018 causa C-382/16).

A cura di Luciano Fiorentino