Articolo di Lara Conticello, Associate Partner RSM S.p.A., pubblicato su Economy di Maggio 2025.

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La trasparenza ci salverà dalla disparità

Il Parlamento Europeo il 17 maggio 2023 ha adottato la Direttiva Europea 2023/970 sulla trasparenza retributiva che andrà recepita in Italia entro 7 giugno 2026, tra poco più di un anno. 

La Direttiva prevede misure “intese a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore tra uomini e donne ("principio della parità di retribuzione") tramite la trasparenza retributiva e il rafforzamento dei relativi meccanismi di applicazione” (art.1 della Direttiva 2023/970).

Tutti i datori di lavoro del settore pubblico e privato dovranno, a partire dal 7 giugno 2026 garantire ai propri lavoratori e ai candidati in fase di assunzione, l’accesso alle informazioni necessarie per comprendere il livello retributivo in ingresso ed i successivi avanzamenti di carriera, in un’ottica di neutralità di genere. 

Il cuore concettuale della Direttiva si trova nell’articolo 4, che definisce con precisione cosa si intenda per “stesso lavoro” e “lavoro di pari valore”. Un cambio di prospettiva radicale, perché introduce l’obbligo per gli Stati membri di dotarsi di strumenti e metodologie di analisi oggettive e accessibili ai datori di lavoro, ma anche alle parti sociali e ai lavoratori. Le valutazioni dovranno fondarsi su criteri neutri sotto il profilo del genere: competenze, responsabilità, condizioni di lavoro e impegno richiesto. Sarà quindi necessario, per molte organizzazioni, rivedere i sistemi di job evaluation e gli strumenti di progressione di carriera, affinché siano comparabili, trasparenti e privi di bias discriminatori. È qui che si gioca il vero cambio di passo: le imprese saranno obbligate a rendere leggibili e confrontabili i livelli retributivi, articolandoli per categorie, livelli e anzianità. Al contempo, i lavoratori acquisiranno il diritto di conoscere i criteri di determinazione delle retribuzioni e di accedere ai dati medi degli stipendi, disaggregati per genere, relativi a posizioni analoghe. Un salto in avanti in termini di equità, ma anche di accountability.

La leva più potente della Direttiva è l’obbligo strutturale alla trasparenza retributiva e al suo monitoraggio costante nel tempo. Le imprese con oltre 100 dipendenti dovranno pubblicare regolarmente dati sul gender pay gap interno. Se il divario supera il 5%, scatterà un audit obbligatorio e un piano di azioni correttive, eventualmente tramite accordi sindacali. Per le aziende con oltre 250 dipendenti, gli obblighi si fanno più stringenti: entro il 7 giugno 2027 e poi ogni anno, dovranno rendere pubblici – in forma disaggregata per genere – dati su retribuzioni medie e variabili, assunzioni iniziali, avanzamenti di carriera, inquadramenti, congedi e contratti atipici (art. 9). L’obbligo sarà triennale per le imprese tra 50 e 249 dipendenti. Per quelle tra 100 e 149, il primo termine slitta al 7 giugno 2031, con aggiornamento ogni tre anni. Una gradualità che non alleggerisce la responsabilità, ma invita ad anticipare il cambiamento.

La novità più dirompente riguarda però l’onere della prova: in caso di contenzioso, spetterà al datore di lavoro dimostrare l’assenza di discriminazione retributiva. Un’inversione che riequilibra le posizioni in sede giudiziale e spinge le imprese verso una maggiore responsabilità preventiva. Non solo. Chi subisce una discriminazione salariale avrà diritto a un risarcimento integrale, comprensivo di arretrati, bonus, benefici accessori, interessi ed eventuali danni morali. Novità rilevante è l’assenza di limiti massimi al risarcimento. Per le aziende inadempienti, sono previste sanzioni efficaci e dissuasive, la cui entità dovrà essere definita da ciascuno Stato membro entro la data di attuazione. 

Nel contesto italiano, questa Direttiva si innesta su un terreno già in movimento. Dal 2022 è in vigore la certificazione della parità di genere prevista dalla Legge 162/2021. Le imprese che adottano politiche attive in materia di equità, conciliazione e inclusione possono ottenere la Certificazione UNI PDR 125:2022, accedendo a sgravi contributivi e premialità negli appalti. La certificazione non è obbligatoria, ma può rivelarsi un alleato strategico per affrontare gli obblighi che la Direttiva imporrà nei prossimi anni. Gran parte delle aree richieste – dalla trasparenza salariale, all’equilibrio di genere nella Governance – sono già oggetto di valutazione nella UNI PDR 125_2022. Un’azienda che ha già avviato questo percorso è indubbiamente in vantaggio.

Come dovranno organizzarsi le aziende italiane?

Le imprese, soprattutto le medio-grandi non devono farsi trovare impreparate. Serve una mappatura interna dei ruoli, una revisione dei criteri di inquadramento e una capacità di lettura dei dati retributivi in ottica di equità. Occorre impostare sin da subito una sorta di pre-assessment retributivo, simulando eventuali scenari e piani di intervento. La Direttiva, infatti, pone due livelli di analisi a cui è necessario prepararsi:

- individuale: richiesta di accesso ai dati di una lavoratrice o lavoratore che ritenga di essere discriminato dal punto di vista lavorativo;

- collettivo: reporting destinato alle organizzazioni sindacali contente i dati di sintesi, e le spiegazioni degli eventuali divari retributivi di genere superiori al 5%.

Nel primo caso dovranno essere tempestivamente individuate le situazioni di rischio su cui è necessario intervenire, strutturando un processo di monitoraggio del gender pay gap indirizzato alla correzione del divario di genere superiore al 5%, che dovrà essere assorbito nel minor tempo possibile, laddove non è giustificabile da circostanze oggettive. 

Nel secondo caso dovranno essere aperti i tavoli di consultazione con le rappresentanze sindacali, con le quali si condivideranno preliminarmente i dati analizzati secondo le indicazioni della direttiva. L’art.13 della Direttiva rubricato “Dialogo Sociale” apre alla possibilità di promuovere il ruolo delle parti sociali, incoraggiando l'esercizio del diritto di contrattazione collettiva. L’impatto della Direttiva 2023/970 si estende ben oltre gli obblighi formali delle imprese: entra direttamente nel cuore delle relazioni industriali, nel rinnovo degli accordi collettivi e aziendali. Nei rinnovi dei contratti collettivi nazionali e aziendali, dovranno essere chiariti i criteri di classificazione professionale (es. mansioni, competenze, responsabilità) e i meccanismi di attribuzione degli scatti, premi e avanzamenti. Il dialogo con le parti sociali potrebbe comportare anche la richiesta dell’inserimento di indicatori di equità retributiva e meccanismi di monitoraggio periodico nei testi negoziali.

Dovranno essere riviste le procedure di selezione del personale e le informazioni da inserire negli annunci di lavoro. Secondo quanto previsto dall’art.5 della Direttiva, i candidati dovranno ricevere informazioni chiare sulla retribuzione iniziale o sulla relativa fascia da attribuire alla posizione per la quale si è candidati, tenuto anche conto se necessario, delle disposizioni del contratto collettivo applicato dal datore di lavoro in relazione alla posizione. Questo già in fase di annuncio di lavoro, altro aspetto non meno interessante per il selezionatore. Sarà vietato chiedere ai candidati lo stipendio percepito in precedenti rapporti di lavoro, per evitare che disuguaglianze pregresse si perpetuino. 

Serve un cambio di approccio e una comunicazione chiara con le persone. Come scrive Simon Sinek “Trasparenza non significata condividere ogni dettaglio. Trasparenza significa fornire il contesto per le decisioni che prendiamo”. Molto spesso le persone sono insoddisfatte non soltanto per il livello di retribuzione salariale, ma soprattutto per come si sentono trattate in termini di trasparenza salariale.